Quattro chiacchiere con Alessandro Di Giorgio, UI designer e test manager di ESSE I

Quattro chiacchiere con Alessandro Di Giorgio, UI designer e test manager di ESSE I

 

Ogni tanto sul nostro blog ci piace dialogare con i membri del team per provare a far emergere non solo le nostre professionalità ma anche le persone. Già, perché al di là di tecnologie, piattaforme e linguaggi di programmazione, dietro la nostra software house ci sono persone con una storia e un’anima che vale la pena far conoscere all’esterno. È anche grazie a loro, infatti, che crediamo di potere distinguerci.

Questa volta, dopo Max, Antonio e Fabrizio, intervistiamo Alessandro Di Giorgio, il nostro UI designer e test manager. Ma facciamoci spiegare direttamente da lui in cosa consiste questo lavoro.

L’intervista, che in realtà è una chiacchierata molto amichevole, è sempre a cura del nostro responsabile marketing e comunicazione Leo Cascio. Buona lettura.

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Leo: Ciao Alessandro. Intanto complimenti visto che da poco, dopo un periodo come collaboratore esterno, sei diventato una risorsa interna di ESSE I, dove rivesti ufficialmente due ruoli: UI designer e test manager.

Puoi spiegarci meglio in cosa consiste il tuo lavoro?

Alessandro: Ciao Leo. Grazie! In ESSE I mi occupo della grafica e dell’usabilità degli applicativi ma anche del beta testing di tutto ciò che viene sviluppato. In pratica, verifico che le strutture e interfacce grafiche dei nostri software siano il più possibile usabili, ma anche che tutto sia in ordine dal punto di vista funzionale. Sono un collaboratore per così dire “olistico” perché guardo alla qualità del prodotto a 360 gradi, segnalando al team di sviluppo tutto ciò che può essere migliorato e semplificato, concentrandomi sui benefici per l’utente finale.

Ma non finisce qui perché do una mano anche al team nella realizzazione di applicativi mobile su piattaforma Delphi: in sostanza sono anche di supporto al responsabile dell’area Delphi di ESSE I che a sua volta è responsabile tecnico della gamma di applicativi gestionali legati alle reti di vendita.

Comunque, volendo far valere i miei studi (sono laureato in giurisprudenza), è anche vero che ultimamente sto cercando di spostarmi nell'area tecnico-amministrativa dove, a quanto pare, vengo particolarmente apprezzato per i consigli sulla contrattualistica.

L: Mi sembra di capire che sei un “jolly”, un “multipotenziale” che lavora su più fronti. Mi sbaglio?

A: Non sbagli, sono un po’ un tuttofare. Certamente il mio dovere principale è fare in modo che i software visivamente e funzionalmente forniscano la migliore risposta possibile ai bisogni degli utenti, quindi il comparto UI design e beta testing per me rimane centrale. Però, visto che ESSE I è una piccola azienda (per quanto in espansione, dato che sta pian piano coinvolgendo collaboratori sempre più specifici), non posso esimermi dal dare una mano anche in altri ambiti come quello, appunto, legale e amministrativo.

L: Per il quale c’è comunque un ufficio legale esterno...

A: Certo, Max si appoggia a uno studio legale che cura il grosso del lavoro. Ma, appunto, avendo una buona infarinatura di informatica forense, che è stata la mia specializzazione per via dei miei studi ma anche per ciò che facevo prima di approdare a ESSE I, do il mio contributo in un ambito non da coder.

Anche perché coder non sono, la matematica non è mai stata il mio forte, oltretutto. E allora mi gioco altre carte...

L: Giustamente non è che in una software house si deve essere tutti nerd esperti di matematica e coding, ci vogliono anche figure come la tua (ti capisco benissimo visto che appartengo alla stessa “categoria”). In una software house ci vogliono collaboratori con indole meno scientifica e più umanistica, persone per studi e carattere più “vicine” alle persone, ai loro problemi e bisogni (che spesso non sono neanche razionali). E forse anche a comunicazione, marketing e vendita.

A: Guarda, in passato venditore lo sono anche stato, Leo. Pensa che dal 2001 al 2010 sono stato titolare di un’attività di servizi informatici qui a Cosenza. Mi occupavo, pur avendo collaboratori, sostanzialmente di tutto. Proprio come accade quando si è piccoli e allora si devono per forza gestire tante cose diverse da soli anche per tenere bassi i costi. Certamente si dovrebbe delegare, e io lo facevo, ma al “fare di tutto un po’” almeno all’inizio non si scappa...

L: Ti capisco, è una cosa che ho fatto anch’io in passato prima di “posizionarmi” come freelance.

Ma tornando al tema dell’UI design e del testing, vorrei farti una domanda che credo si pongano diversi lettori del nostro blog o, magari, chi vorrebbe delegare la realizzazione di un bell’applicativo coi controfiocchi a ESSE I.

Alessandro, come si crea un’interfaccia utente efficace? Come si realizza un software usabile?

A: Prima di tutto deve essere facile e intuitivo, il meno complicato possibile. Le persone hanno una soglia d’attenzione e concentrazione minima, non vogliono arrovellarsi più di tanto per capire come fare le cose. Quindi chi fa questo mestiere deve per forza assumersi l’onere di risolvere gli eventuali dubbi e problemi prima che si verifichino. Questo porterà ad aumentare la complessità del software, ma all’esterno l’obiettivo è diminuirne l’impatto sull’utente. Che poi è uno dei più noti controsensi della tecnologia.

L: Già, che putroppo fa credere alle persone meno tecnologicamente informate che se una tecnologia è semplice fuori lo è anche dentro. E invece non è così, spesso è l’esatto contrario. Però intanto sussiste il lavoraccio, spesso incompreso, dei programmatori e ruoli limitrofi che fanno in modo che lo “sforzo cerebrale” per chi userà una piattaforma sia ridotto al minimo.

Ma quali metodi o approcci adottate in ESSE I per raggiungere questo obiettivo?

A: Potrei parlarti di tool di ottimizzazione dei processi, dei feedback di tutti i clienti precedenti e dell’esperienza nel campo, ma ti rispondo semplicemente con “ci facciamo domande”.

Proviamo a immedesimarci nelle persone che andranno a usare le interfacce, cerchiamo di capire chi sono, quali sono i loro desideri e bisogni, cosa può frullargli nella testa. Io sono quello che ha la responsabilità, ma in realtà stiamo cercando di farlo tutti, in ESSE I. Tutto il team è ormai coinvolto nel mettere al centro della propria attività la persona, l’utente. Questo non può che nascere da uno sforzo di comprensione il più grande e completo possibile.

L: Magari dallo sviluppo di soft skill come l’empatia!

Ma tecnicamente, invece? Anche in ambito organizzativo e di gestione del tempo come funziona il tuo lavoro? Come funziona questo lavoro?

Qui mi verrebbe da ricordare la seconda puntata del podcast “Compresse I” con Max Aiello, in cui abbiamo parlato soprattutto di questo, ma vorrei ascoltarlo direttamente da te.

A: Guarda, abbiamo un sistema interno a ticket grazie al quale ciascuno di noi scrive un report del task che ha svolto. Gli utenti del team lo leggono lasciando un feedback in cui esprimono il proprio punto di vista. Per esempio di solito al sottoscritto, quando il ticket riguarda l’usabilità, fanno la tipica domanda: “Ho implementato la funzione X, puoi testarla e dirmi che ne pensi?”. Io rispondo e ne nasce uno scambio che può durare giorni e che ternima solo quando diventa “a prova di scemo”.

Il fatto che io non sia un programmatore, e che quindi trascenda dagli aspetti tecnici concentrandomi su “ciò che si vede e si clicca”, ovviamente aiuta perché mi consente di scovare eventuali magagne sfruttando la mia predisposizione naturale.

L: Sei come una buona cavia, non hai un pensiero influenzato da pregiudizi…

A: Sì, perché sono un “ignorante”. Sono un beta tester carico di ticket, infatti. Uno che a volte scova pure i refusi d’ortografia…

L: Ma cambiamo argomento, visto che ormai non si parla d’altro lo chiedo anche a te: cosa pensi dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa nel mondo del coding?

A: Quando è nato ChatGPT sono stato uno dei primi in azienda a provarlo. D’altronde è vero che sono un ignorante, ma un ignorante curioso. Sin da bambino sono appassionato di informatica, come Max e un po’ tutto il team interno ed esterno...

L: …presente! Ma forse meglio non toccare il tasto “diavolerie nerd anni ’80” altrimenti facciamo notte…

A: Già. Sulla AI dicevo che, quando ci ebbi a che fare per la prima volta, chiesi a ChatGPT di tradurre in codice Delphi una lista di clienti che, a sua volta, conteneva una serie di informazioni secondo una certa struttura e determinate regole di calcolo. “Lui” tradusse in codice tutto, in pochi istanti, lasciandomi senza parole. Chiamai Max e altri colleghi dicendo loro: “Guardate qui, non è straordinario?”.

Solo che poi, andando a eseguire quel codice, mi sono presto accorto che non funzionava per nulla. 

Ho continuato a “giocare” con ChatGPT, ancora oggi lo faccio, e ultimamente anche con Bard di Google, ma spesso è un continuo segnalare codici imperfetti a cui l’AI risponde con: “Hai ragione, mi scuso per l’errore”. Ho tutta una cronologia piena di queste attività.

Quindi per me l’AI è interessante, in parte anche utile, ma ancora troppo embrionale, non ancora affidabile.

L: Spesso dico: “L’AI è uno strumento eccezionale nelle mani di chi è competente, ma pericoloso nelle mani di chi non lo è”. Che ne pensi?

A: Qui a Cosenza c’è questo proverbio: la cravatta fa signore. Per dire, a me sembra più “apparenza che inganna”, “fumo negli occhi”.

L: Credo possa aiutare a velocizzare il lavoro di scrittura, da content manager non ti nascondo a volte di usarla per spunti o per creare un canovaccio dei contenuti. Ma è fondamentale farlo con buon senso e competenza, prima di tutto evitando di usare ciò che l’AI ci fornisce senza spirito critico. Mi chiedo se possa essere valida anche nel coding, quando i vari tool, interrogati, ci danno righe di codice.

Penso: magari sono utili a scopo formativo, ma non per la fase produttiva. No?

A: L’AI va bene se ci si accontenta, forse. Ma non se si mira alla qualità. In ESSE I abbiamo scelto proprio questa strada, avviando un processo di studio accademico sullevoluzione della AI. Stiamo lavorando alla sua migliore integrazione per il nostro futuro. Per quello dei nostri clienti comunque già lo facciamo.

L: Concordo, Alessandro. Già. Non è un caso se Max nel podcast diceva che per ESSE I si usa, sì, ma ancora poco a meno che qualche cliente non chieda di svilupparla o integrarla nei suoi progetti! In tal caso la software house è già pronta.

Prima di salutarci, ti faccio l’ultima domanda, Alessandro, perché penso serva a mostrare all’esterno “il perché” di questa azienda, ossia la sua dimensione umana. Infatti l’ho posta anche ad Antonio e Fabrizio.

Come hai conosciuto Max, il CEO di ESSE I? E perché hai deciso di unirti a ESSE I?

A: L’ho conosciuto tramite Fabrizio che conosco da trent’anni. Me lo ha presentato chiedendomi se mi andava di unirmi a Max e al suo team. La “chimica tra noi” ha fatto il resto: come con Fabrizio, siamo diventati ottimi amici, è come se ci conoscessimo da una vita anche se sono passati solo due anni. Ma il merito è soprattutto di Max, una persona con una sensibilità molto accentuata, che va oltre.

L: Vero, un CEO dall’umanità rara...

A: Anche “ingenua” per certi versi. Nel senso che la sua generosità purtroppo a volte attira approfittatori.

L: Già. Ma io credo che alla lunga il suo essere e comportarsi da brava persona qual è sia vincente. Come l’“armonia” che risiede nella sua persona e di cui ha permeato l’intera ESSE I.

Comunque, posso dirti una cosa, Alessandro? Ho l’impressione che tu sia una specie di “mediatore” tra Max e Fabrizio, persone con valori e passioni simili (altrimenti non sarebbero amici, né lavorerebbero insieme) ma con caratteri e modi di pensare un po’ diversi. Mi sbaglio?

A: Più che mediatore, mi comporto da genitore. Ma di quelli che scassano...

Battute a parte, tendo a mediare, vero. E credo che mi riesca bene, dando un contributo perché l’atmosfera qui in ESSE I continui a essere armoniosa.

L: E anche goliardica. Parola del nano da giardino che ti ha regalato Max per il tuo ultimo compleanno…

A: Un regalo apprezzatissimo. A differenza di questa tua “intervista”, manco fossi chissà chi! Leo, ma non avevi di meglio nella tua vita da fare che perdere tempo con uno come me?

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Con Alessandro ci siamo salutati così.

Forse avremmo dovuto ricordargli (ma Alessandro lo sa bene, in realtà) che avvicinarsi alle persone non è mai una perdita di tempo. In fondo siamo tutti colleghi in questo, ognuno con i propri approcci, metodi e strumenti.

D’altronde cos’è una buona UI se non “provare a essere più umani”?

Alla prossima chiacchierata col nostro team!

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